Undicesimo giorno

Sveglia sempre presto e stamattina la brezza all’alba era piacevolmente fresca. Lascio che la pelle delle braccia si freddi sapendo che il caldo a breve avrebbe sciolto il momentaneo torpore.

Ho sempre bisogno di caffè la mattina!  

La notte passata in ostello in solitudine mi ha fatto capire che il bisogno principale è quello di avere un materasso che accolga il mio sonno e un posto “sicuro”. 

Questo mi ha fatto pensare a quanto pericolosi fossero i passaggi dei pellegrini nei secoli scorsi, quando non esistevano ostelli così frequenti, ma i luoghi più sicuri rimanevano gli Hospital da cui viene il nome ostello protetti e garantiti dalla presenza di soldati e dei templari.


Il percorso di oggi lungo, non è stato tra i più belli eccetto per il passaggio fatto da Àgueda, che ho avuto troppo poco tempo per visitarla. Le aree intorno sono tutte abbastanza industriali e piene di aziende vinicole o di trasformazione. 

È stato il momento in cui ho rivisto Elisa di Albano con cui ho scambiato due parole e poi dopo tanti altri km in più sono arrivato a Albergaria a Nova dove ho trovato l’annuncio di un ostello a qualche km oltre la città - Il Cattolico -


La migliore accoglienza ricevuta finora,! Anche perché a meravigliarmi è stato ritrovare la coppia di neozelandesi che avevo incontrato con Piki. L’ospitalero Paolo è eccezionale e oltre alla struttura offre anche una cena e la colazione per tutti e con offerta libera. 

Dopo poco arriva anche Christina dalla Korea che con grande sorpresa scopro essere un’artista del cammino pure lei, ma cento volte più attiva. Grandiosa.


Infine arrivano pure due italiani, Matteo e Noemi (di Caltagirone per l’esattezza).

Ecco la tavolata è completa a cui si aggiunge Anna l’ospitalera di Varsavia e José che hanno cucinato per noi. Fantastico.


Durante la cena Gedeon (neozelandese) comincia una conversazione libera sul tema della pace. Chiede a me cosa penso del fatto che la pace si può trasferire. Io rimango dell’avviso che ci sono persone che rimangono impermeabili alla pace. Lui suggerisce una metafora dicendo che la pace per lui è come la luce di una candela che si può trasferire ad un’altra candela per fare più luce. Io ribadisco che l’altro non necessariamente è disponibile a ricevere, anzi che proprio come un tubo di acciaio può rimanere immobile. Aggiungo però, usando la metafora della candela, che se tante candele stanno intorno al tubo di acciaio certo non potranno incendiarlo, ma almeno potranno trasferire parte del loro calore e sicuramente riflettere su di lui la loro luce. Non sarà mai pace per tutti!


Bom Caminho